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Personale Scolastico – Ricostruzione della carriera – Valutazione del servizio prestato prima della

  • Immagine del redattore: Avv. Fedele Cannerozzi
    Avv. Fedele Cannerozzi
  • 29 nov 2019
  • Tempo di lettura: 10 min

Aggiornamento: 3 nov 2020

L’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive disciplina il riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall’art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto, ab origine, a tempo indeterminato.

Il giudice del merito per accertare la sussistenza della denunciata discriminazione dovrà comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato e ciò implica che non potranno essere valorizzate le interruzioni fra un rapporto e l’altro, né potrà essere applicata la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489.

L’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente a tempo determinato, poi immesso in ruolo, in caso di disapplicazione dell’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994 deve essere computata sulla base dei medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo indeterminato.

L’art. 569 del d.lgs. n. 297/1994 relativo al riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1990/70/CE nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi dell’art. 570 dello stesso decreto, sia utile integralmente ai fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio e per la quota residua rilevi ai fini economici nei limiti dei due terzi.

Il giudice, una volta accertata la violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva ed a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell’amministrazione, l’intero servizio prestato.

* * *

Sulla questione della valutazione del servizio pre ruolo prestato dal personale tecnico amministrativo (ATA) e dal personale docente è intervenuta la Cassazione con due sentenze che, si spera, pongano fine all’incertezza giurisprudenziale che sull’argomento si era registrato dopo la Sentenza “Motter” della Corte di Giustizia Europea.


La questione, come noto, nasce dalla denuncia avanzata da molti docenti e personale Ata della illegittimità delle norme interne che, in relazione all'anzianità di servizio maturata durante i contratti a tempo determinato:

  1. escludono per il personale non di ruolo la progressione economica per fasce stipendiali che, al contrario, viene assicurata al solo personale di ruolo

  2. successivamente alla immissione in ruolo ed in occasione della ricostruzione della carriera effettuata al fine di attribuire la fascia stipendiale del lavoratore, valutano solo parzialmente il servizio pre ruolo prestato, considerandolo integralmente solo per i primi quattro anni e per due terzi per gli anni successivi


Tali norme sono state ritenute illegittime dai lavoratori che hanno fatto ricorso al giudice del lavoro in quanto violano il principio di non discriminazione dei lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato il cui trattamento complessivo non può essere meno favorevole del trattamento riservato agli analoghi lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato.


Tale principio è contenuto nell’art. 4 della Direttiva Comunitaria n. 1999/70/CE relativa all’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato che dispone:

Articolo 4 - Principio di non discriminazione

1. Per quanto concerne le condizioni di impiego, le lavoratrici ed i lavoratori a tempo determinato non dovranno essere trattati in maniera meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato assimilabili, unicamente per il fatto di avere un contratto od un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che ciò sia giustificato da ragioni obiettive. (…)

4. I criteri per periodi di anzianità relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi per le lavoratrici ed i lavoratori a tempo determinato e per quelli e tempo indeterminato, salvo laddove motivi obiettivi giustifichino la differenza di durata dei periodi stessi.



Diritto alla progressione economica per il personale non di ruolo


In relazione al primo profilo di illegittimità denunciato dai lavoratori (ovvero la esclusione del personale non di ruolo dalla progressione economica per fasce stipendiali), la Cassazione era già pervenuta da tempo ad una conclusione favorevole alle ragioni dei lavoratori della scuola stabilendo il principio secondo il quale il personale scolastico a tempo determinato ha diritto a conseguire già nel corso dei rapporti di lavoro a tempo determinato la medesima progressione economica riconosciuta al personale a tempo indeterminato.


A tale proposito Cass. 05.08.2019 n. 20918 , nel confermare la precedente giurisprudenza di legittimità, ha ribadito

l'orientamento, consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte a partire dalle sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, secondo cui <<nel settore scolastico, la clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato>>.



Diritto alla integrale valutazione del pre ruolo nella ricostruzione della carriera


Sulla diversa questione della valutazione parziale del pre ruolo in sede di ricostruzione della carriera, all’interno della giurisprudenza dei Tribunali e delle Corti di Appello si è sviluppato un articolato dibattito che vedeva e ha visto sino ad oggi decisioni a volte contrastanti.


Il dibattito era stato in particolare aperto dalla sentenza Corte di Giustizia Europea 20.09.2018 C-466/2017 (Motter) che aveva pronunciato il seguente principio di diritto:

La clausola 4 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale la quale, ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza di due terzi.


La decisione assunta dalla Corte di Giustizia prende le mosse dal rischio che una valutazione integrale del servizio pre ruolo prestato dai docenti possa di fatto tradursi in una “discriminazione alla rovescia” nei confronti del personale assunto a tempo indeterminato.


Per il personale docente, infatti, ai sensi del combinato disposto dell’art. 489 del D.Lgs 297/1994 e dell’art. 11, comma 14 della legge 03.05.1999 n. 124, ai fini della determinazione della anzianità maturata è valutabile il servizio che, nel corso dell’anno scolastico, ha avuto una durata di almeno 180 giorni, ovvero sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale.


Tale fictio iuris (che sostanzialmente equipara 180 giorni di servizio ad un intero anno di 365 giorni), sostiene la Corte di Giustizia, giustifica e legittima la riduzione di un terzo del servizio prestato nella determinazione della progressione economica poiché, diversamente, ai lavoratori a tempo determinato sarebbe riservato addirittura un trattamento di miglior favore di quello previsto per i docenti di ruolo i quali conseguono l’anno di anzianità solo al trascorrere dei 365 giorni di servizio.


Sulla scorta di tale intervento della Corte Europea – che riguardava, è bene sottolinearlo, il caso di una insegnate – si sono registrate sentenze di alcuni giudici di merito (Tribunali e Corti di Appello) che hanno ritenuto che la questione fosse stata definitivamente risolta in senso negativo per le pretese dei lavoratori, siano essi appartenenti al profilo dei docenti ovvero a quello del personale amministrativo, essendo stata riconosciuta la legittimità della normativa interna che procede alla riduzione del servizio pre ruolo ai fini della progressione economica.


In realtà tale principio alla luce delle argomentazioni e delle motivazioni della stessa Corte di Giustizia appariva già ad una prima lettura meno assoluto di quello che sembrava essendo collegato indissolubilmente al verificarsi della circostanza di fatto (che il Giudice di merito è stato chiamato a verificare caso per caso dalla stessa sentenza Motter) che quella fictio iuris avesse effettivamente operato.



La ricostruzione della carriera per il personale ATA


Diversamente da quanto ritenuto in alcune sentenze di merito, il rischio di una “discriminazione alla rovescia” non poteva certamente ravvisarsi per il personale Ata per il quale il servizio prestato durante il pre ruolo concorre (sia pure nella misura parziale stabilita dall’art. 485 comma 1 del D.Lgs 297/1994) alla determinazione della anzianità di servizio nella misura effettivamente prestata.


Ai sensi, infatti, dell’art. 570 del D.Lgs 16.04.1994 n. 297 il personale amministrativo avrà conseguito un anno di anzianità di servizio solo al compimento del 365° giorno di effettivo servizio, anche se conseguito con rapporti non continuativi.


Pertanto, per il lavoratore Ata di ruolo e per quello precario l'anno di anzianità maturerà per entrambi solo dopo 365 giorni di effettivo servizio, senza che sia previsto, come avviene per i docenti, alcuno "sconto" in sede di ricostruzione della carriera.


Per la inapplicabilità della sentenza Motter agli ATA si era già diffusamente pronunciata la giurisprudenza di merito (si vedano, tra le tante Trib. Foggia 17.01.2019 n. 291, dott. Ivano Caputo; Trib. Milano 24.11.2018 n. 2871, dott. Antonio Lombardi e Trib. Velletri 04.12.2018 n. 1614 dott.ssa Raffaella Falcione; Corte d’Appello Torino 07.06.2019 n. 386).


Tale conclusione aveva trovato recente conferma nella stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione che, nella già richiamata sentenza 05.08.2019 n. 20918 ha avuto modo di sostenere che

Non è pertinente il richiamo alla sentenza del 20.9.2018 in causa C-466/17, Motter contro Provincia Autonoma di Trento, perché la pronuncia, riguardante la diversa questione della ricostruzione della carriera al momento della conclusione del contratto a tempo indeterminato, ha esaminato la disciplina dettata dagli artt. 485 e 489 del d.lgs. n. 297/1994, applicabile al solo personale docente e non a quello amministrativo, per il quale rilevano le disposizioni dettate dagli artt. 569 e 570 del T.U., non sovrapponibili alle prime.


In tal senso si è pronunciata la sentenza della Cassazione n. 31150/2019 in commento che, a proposito del personale Ata ha riconosciuto che

le ragioni valorizzate dalla Corte di Giustizia nella pronuncia relativa alla ricostruzione della carriera del personale docente restano circoscritte a quest'ultimo perché il personale tecnico, amministrativo e ausiliario non può giovarsi della fictio iuris di cui al richiamato art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999, con la conseguenza che resta alla radice esclusa ogni possibilità della paventata «discriminazione alla rovescia».


Il principio di diritto contenuto nella sentenza Motter, dunque, certamente non rileva nei casi in cui la parità di trattamento sia invocata da chi appartenga al ruolo del personale amministrativo.

Resta, pertanto, confermato il diritto del personale ATA ad ottenere, ai fini della progressione economica, il riconoscimento integrale del servizio prestato in conseguenza di tutti i contratti di lavoro a tempo determinato e il diritto alle conseguenti differenze retributive.

La ricostruzione della carriera per il personale docente


Per quanto riguarda i docenti, la soluzione individuata dalla seconda sentenza della Corte di Cassazione in commento è un po’ più articolata.


Per la ricostruzione di carriera dei docenti, infatti, come si è visto, l’art. 11, comma 14 della legge 03.05.1999 n. 124 definisce una anzianità di servizio “virtuale” attraverso la equiparazione ad un intero anno del servizio prestato per almeno 180 giorni (ovvero dal 1° febbraio sino al termine delle operazioni di scrutinio finale).


Si tratta, come è evidente, di una norma di favore prevista per il personale docente non di ruolo al quale, se ha svolto il servizio per almeno 180 giorni, è riservata una valutazione maggiore di quella effettiva attraverso la equiparazione ad anno intero di una durata che, in realtà, è stata inferiore ai 365 giorni.


In ragione di tale meccanismo, la Corte di Giustizia Europea ha ritenuto legittima la normativa italiana che, in occasione della ricostruzione di carriera dei docenti, ha sì effettuato una "riduzione" della anzianità maturata durante il pre ruolo, ma lo ha fatto a fronte della precedente super valutazione di quello stesso servizio.


Ciò non di meno la Corte di Giustizia ha demandato al Giudice Nazionale il compito di verificare se, nel caso concreto portato al suo esame, una discriminazione vi sia effettivamente stata, escludendo qualsiasi automatismo.


In tale dibattito si è inserita la sentenza 31149/2019, che ha innanzitutto escluso che sulla scorta della sentenza “Motter” possa affermarsi tout court la conformità delle norme italiane oggi in uso alla disciplina europea, così come pretendeva il Miur e così come è stato dichiarato in alcune sentenze di merito emesse successivamente all'intervento della Corte di Giustizia.


Osserva la Corte:

la verifica non può essere condotta in astratto, bensì deve tener conto della specificità del caso concreto, nel quale, in ipotesi, potrebbe anche non venire in rilievo l'applicazione della disposizione sopra indicata, sulla quale la Corte di Giustizia ha fatto leva nell'affermare che l'abbattimento potrebbe essere ritenuto applicazione del principio del pro rata temporis.


Richiamata dunque la necessità di procedere ad una approfondita valutazione del caso concreto, la Corte rileva che

un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l'anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale ex art. 489 d.lgs. n. 297/1994, prestata con rapporti a tempo determinato, risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 d.lgs. n. 297/1994, perché solo in tal caso l'attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all'assunto a tempo indeterminato.


La Corte avverte che allorquando il docente chiede al Giudice nazionale di procedere ad effettuare la valutazione del suo caso concreto, non può

pretendere, sulla base della clausola 4, una commistione di regimi, ossia, da un lato, il criterio più favorevole dettato dal T.U. e, dall'altro, l'eliminazione del solo abbattimento, perché la disapplicazione non può essere parziale né può comportare l'applicazione di una disciplina diversa da quella della quale può giovarsi l'assunto a tempo indeterminato comparabile.


Infine la Corte descrive il procedimento logico e giuridico che il giudice di merito deve compiere per valutare se vi sia stata o meno una violazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4.


Occorre, indica la Corte, calcolare l’anzianità di servizio pre ruolo dei docenti – con un meccanismo non dissimile da quello adottato per il personale ATA – tenendo conto del solo servizio effettivo, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo determinato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati).


Nel calcolo, precisa la Cassazione, non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali la Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio.


Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 485, perché il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall'uno all'altro ruolo.


Calcolata così l’anzianità di servizio del docente a tempo determinato sulla base del servizio effettivamente prestato, occorre verificare se la stessa è superiore a quella riconoscibile sulla base della anzianità “virtuale”.


Se all’esito del calcolo effettuato essa risulta essere superiore, al docente deve essere riconosciuta la maggiore anzianità calcolata e le norme italiane devono essere disattese da giudice nazionale perché esse violano la Direttiva Europea.

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Fedele Cannerozzi
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